L’Appennino è un arazzo
L’Appennino è un arazzo

L’Appennino è un arazzo

Testo di Pietro Lacasella (Alto-Rilievo/voci di montagna)
Quadri di Silvio Lacasella

Ogni contesto sociale può essere equiparato a un arazzo. Visto dall’esterno si presenta come un’entità compatta, armonica e, grazie alla singolarità dei disegni che lo caratterizzano, difficile da replicare. Osservato dall’interno è invece composto da una fitta trama di fibre, tutte diverse, ma al contempo unite dalla convinzione di appartenere allo stesso manufatto così da garantirne l’integrità.

Per comprendere la dimensione intima di una società, senza limitarsi all’immagine che essa offre in superficie, è necessario introdursi tra le sue fibre. Ognuna ne restituisce un aspetto, una sfumatura, una peculiarità. Alla stregua di Penelope, è dunque necessario disfare e ricomporre il tessuto al fine di osservarlo con maggiore consapevolezza.

Appoggiandomi a questa riflessione formulata dal filosofo viennese Ludwig Wittgenstein, non posso vantare una conoscenza intima della catena appenninica e delle realtà sociali che la abitano. Vivendo nel Pedemonte veneto, infatti, ho frequentato la spina dorsale della penisola solo in qualche sporadica occasione per lo più legata alla mia passione per l’arrampicata. Bismantova, Lagoni, Monte Moneta, Ferentillo… montagne stupende, che nulla hanno da invidiare alle più blasonate Alpi, ma che ho vissuto con uno sguardo più alpinistico che antropologico. Pertanto non ho mai avuto l’occasione di intrecciare le fibre che compongono l’arazzo appenninico.

Tuttavia, basandomi sulle fugaci esperienze sugli Appennini, non ho potuto fare a meno di notare un’interessante differenza con le sorelle settentrionali. Sulle Alpi la dinamica turistica ha trovato un terreno più fertile, forse aiutata da un immaginario collettivo che tende a considerarle “più montagne” degli Appennini. In effetti, l’idea che ci siamo fatti dei rilievi – la nostra concezione simbolica – è nata in epoca romantica proprio attorno alla catena alpina. Non c’è nulla di strano, dunque, se il turista, influenzato da questa prospettiva, sia indotto a preferirle.

Ciononostante, il fenomeno turistico è sempre rimasto impigliato in una coltre di ambiguità. Se da un lato ha innegabilmente portato dei benefici economici a un contesto segnato dalla fatica e dalle migrazioni, dall’altro ha spesso violato l’armonia paesaggistica e sociale di molti territori mettendone paradossalmente a rischio la capacità attrattiva.

Quando un fenomeno aumenta quantitativamente – scriveva Hegel, tanto per rimanere tra i filosofi – non abbiamo solo un incremento quantitativo, ma abbiamo anche una variazione qualitativa radicale del paesaggio. Nel nostro caso il turismo ha in breve tempo fatto registrare un drastico aumento quantitativo, permeando l’economia alpina fino a ridurla quasi a una sorta di monocoltura. Le conseguenze qualitative, purtroppo, sono ormai evidenti anche agli occhi meno sensibili.

Le rinnovate esigenze ambientali spingono verso una rivoluzione turistica. Gli Appennini, non ancora trasformatisi in parco giochi delle città, potrebbero diventare un modello turistico, economico e sociale alternativo. Un modello attento a tutelare e a valorizzare le peculiarità ambientali e culturali che, in un mondo via via più globalizzato, stanno diventando un elemento di eccezionale richiamo. Un modello che, sovvertendo i ruoli, predilige la qualità alla quantità. Un modello rispettoso dei limiti ambientali, capace di sgravare i suoi abitanti, ma anche i visitatori sporadici, dai ritmi asfissianti della società dei consumi.


Alto-Rilievo/voci di montagna è uno spazio online curato da Pietro Lacasella. Laureato in Antropologia (Università Ca’ Foscari – Venezia) con una tesi sulle trasformazioni sociali alpine in relazione agli sviluppi turistici, Pietro è un grande appassionato di alpinismo, in particolar modo di arrampicata. Ha amato la montagna da sempre, conosciuta fin dall’infanzia grazie alla frequentazione dell’Altopiano dei Sette Comuni (Altopiano di Asiago, Prealpi Vicentine) nella casa dei genitori. Negli anni ha trasformato questo amore in una vera e propria passione dedicandosi all’alpinismo a 360°. Oltre al blog, Pietro cura anche una rivista che ospita voci autorevoli e in cui si trattano temi culturali e divulgativi, il tutto rigorosamente a tema montagna. La rivista esce senza una scadenza precisa ed è disponibile gratuitamente in formato PDF sul blog. Uno sguardo attento alle questioni sociali e ambientali che riguardano le montagne, tutte.


Silvio Lacasella, padre di Pietro, nasce a Trento nel 1956 e ben presto si trasferisce prima a Milano, poi a Vicenza, dove risiede e lavora. Grazie all’amicizia con Tono Zancanaro inizia a curare la tecnica dell’incisione di cui diventa maestro, dedicandosi ad essa interamente fino al 1989, anno in cui inizia pure a dipingere. Nella sua pittura evoca luoghi lontani e senza tempo, poco denotati se non nella netta divisione dell’orizzonte, paesaggi immaginati ma reali, luoghi dello spirito che appaiono avvolti dal silenzio e tracciati con rari segni che si perdono nella larga stesura del colore.

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