RESPIRARE IL NOSTRO TEMPO // prospettive …
RESPIRARE IL NOSTRO TEMPO // prospettive …

RESPIRARE IL NOSTRO TEMPO // prospettive …

Testo a cura della rete IT.A.CÀ Parco Nazionale Monti Sibillini sul Diritto di respirare


RESPIRARE IL NOSTRO TEMPO
Dai margini delle terre alte, vie coraggiose e rivoluzionarie

Diritto di respirare è un tema che ci appartiene non solo per l’apnea che insieme stiamo vivendo da oltre un anno, ma anche per il territorio che abitiamo e per rivendicare il suo diritto di esistere. Diritto di respirare significa oggi tornare a vivere in equilibrio con noi stessi, con le persone che ci circondano, con l’umanità e la natura. Tutti noi abbiamo bisogno di respirare un mondo nuovo e rigenerato, in una dimensione più pacata che ci consenta di cogliere ogni aspetto della nostra esistenza insieme a quella degli altri, fino a toccare i più banali momenti della vita quotidiana.

Solo ora, forse, con una pandemia globale che ci opprime e una precarietà ecologica sempre più profonda, stiamo imparando quanto il nostro respiro e il nostro bisogno di nutrirci d’aria corrispondano ad un medesimo movimento con la natura: il nostro respiro è anche quello degli animali, delle piante, dei fiori e delle montagne. Alla base dell’armonia della vita c’è un unico respiro, che coinvolge il mondo intero, un ritmo unico, un solo battito. Avere la consapevolezza di tutto ciò significa avere la percezione di una dimensione che, rispetto al nostro presente, ha il sapore di una vera rivoluzione.

Per molto tempo, il genere umano ha creduto di essere più forte di questa armonia, si è impossessato di tutto ciò che lo circondava, ha depredato e, attraverso un cammino solitario, è andato oltre ogni confine. Ma anche contro se stesso. Quando si spezzano equilibri profondi e si alterano tempi e ritmi, ogni particella del pianeta, anche la più infinitesimale, non può che rifugiarsi in un proprio spazio per intraprendere un’assurda guerra di sopravvivenza, ma in questa confusa diversità il mondo diventa come un orologio impazzito destinato ad implodere, perché incapace di ritrovare il suo naturale andamento. Nel suo cammino verso “le magnifiche sorti e progressive” l’umanità si è piegata, si è rotta fino a disgregarsi. Nel momento in cui si sono create gerarchie e priorità si è edificato un sinistro castello delle ineguaglianze, dentro il quale per i pochi che possono o riescono ad affacciarsi dalle torri più alte diventa del tutto normale e quindi accettabile anche il sacrificio e l’annullamento degli ultimi. Poco importa, a chi può godere di orizzonti infiniti e luminosi, se nelle segrete più buie e profonde di questo edificio si muore per mancanza d’aria. Appare lontano il grido di chi soffoca dentro un barcone in mezzo al Mediterraneo oppure nel sottoscala di una fabbrica improvvisata, o ancora lungo le strade di una qualsiasi metropoli o nel deserto di una guerra infinita. Eppure, anche quell’orizzonte limpido non è più lo stesso, non è più ammaliante e il respiro sta diventando affannoso per tutti.

Nella nostra storia, nella storia del genere umano, ci sono i tempi delle permanenze, delle lunghe, lunghissime permanenze che offrono quasi un conforto, un rifugio noncurante e sicuro; poi ci sono i tempi del cambiamento, dei mutamenti repentini e radicali. Questi ultimi avvengono quando il peso delle ingiustizie sociali ed economiche diventa talmente vasto da non essere più sostenibile, quando la stessa oppressione esercitata sull’ambiente naturale produce un’inevitabile e feroce ribellione, spinta da una primordiale esigenza di sopravvivenza che appartiene ad ogni elemento della natura. Oggi, forse, stiamo per vivere, su scala planetaria, una nuova fase di questo tipo, ma possiamo ancora fare qualcosa per evitare un conflitto lacerante, che rischia di non essere più ricomponibile.

Dobbiamo iniziare a demolire il castello delle ineguaglianze, a togliere un mattone alla volta per riportare la luce in ogni ambiente, per ridare aria ad ogni spazio. Si tratta di riallineare i nostri respiri per uniformarli, rendendoli più profondi e forti, e cioè capaci di ritrovare un unico ritmo universale con il pianeta intero. Una prospettiva di questo tipo impone delle scelte coraggiose e rivoluzionarie, perché destrutturare l’edificio delle ingiustizie e di ogni forma di sfruttamento implica una totale rivisitazione del percorso compiuto da una civiltà ormai prossima al suo definitivo tramonto: la nostra civiltà occidentale del capitalismo imperante. Tutto ciò significa rivedere completamente i modelli economici e sociali utilizzati fino a questo momento con la consapevolezza e la forza di poter andare oltre. In tal senso, siamo chiamati ad un gesto di sconfinata umiltà, in grado di riportare l’uomo nella sua giusta collocazione nell’universo, di riportarlo a riconoscersi di nuovo come una semplice e “docile fibra dell’universo”.

Ciò significa anche riannodare i fili di una possibile alleanza da riedificare sulle macerie di quel castello delle disparità, sotto le quali giacciono le prigioni più infime; ma sono proprio queste ultime a rappresentare i luoghi di una vera ripartenza, del più totale ed assoluto cambiamento. In questa nuova condizione che ci spinge a mutare noi stessi, a riscrivere ogni paradigma economico, a rivisitare il nostro modo di vedere e pensare, siamo tutti chiamati a metterci in cammino e a respirare il nostro tempo. Siamo tutti chiamati, cioè, a capire la nostra età, per provare a comprendere e interpretare le sue tensioni, i suoi scenari attuali e futuri. Spetta a noi indicare nuovi percorsi, individuando tutti gli orizzonti che si possono ancora aprire di fronte a noi. Spetta a noi compiere questo passo se vogliamo tornare a respirare insieme al nostro pianeta, alla sua natura e all’umanità intera. Spetta a noi decidere se vogliamo tornare a percepire il leggero alito dell’universo.

La nostra montagna dell’Appennino centrale, proprio perché da sempre considerata uno spazio marginale ed arretrato, un luogo altro e diverso, può svolgere un ruolo centrale e rivoluzionario nella ricerca di una modalità autentica e non più artificiale di respirare. È proprio il suo profilo altro rispetto ai modelli economici e sociali dominanti, che si richiama ad un passato fatto di caparbia resistenza e di vite spese nei ritmi di una dimensione comunitaria e collettiva pervadente, insieme ad un’abitudine quasi eterna ad accettare la grandiosità e la superiorità di una natura che spesso dialoga con la fragilità degli uomini attraverso le sue potenzialità distruttrici e sterminatrici, ma anche capace nello stesso tempo di offrire a questi ultimi enormi opportunità, a fare dell’Appennino un possibile e inedito laboratorio per il futuro.

Il rischio, insito in questa ricerca di natura, purezza, benessere, aria da assaporare, è che le aree appenniniche, le quali si sono “salvate” proprio perché escluse dai modelli economici che hanno prodotto le inquinate metropoli dei consumismi e dei capitalismi, possano essere sottoposte a nuove forme di sfruttamento. Per evitare un esito di questo tipo sono necessari due passaggi preliminari. Da un lato, fare in modo che venga modificato ogni schema delle tradizionali economie di mercato, altrimenti l’approccio alle risorse delle aree interne dell’Appennino non potrà che essere sempre lo stesso, cioè quello che ha già distrutto il nostro recente passato e che rende difficile, se non impossibile, vivere il nostro presente. In altre parole, si tratta di mettere in atto quella rivoluzione accennata in precedenza. Dall’altro, è necessario condividere strumenti utili e possibili con gli abitanti delle zone montane per evidenziare il valore effettivo del patrimonio naturale in cui vivono, le potenzialità che hanno per loro stessi e per gli altri.

Acqua, paesaggi, aria sono quei beni comuni da gestire in chiave collettiva che rappresentano la vera ricchezza dell’Appennino. Sono beni comuni, in primo luogo per tutti i paesi e gli abitanti delle aree montane e poi per tutti gli altri. Ciò non significa stabilire nuove gerarchie, ma semplicemente salvaguardare con precise regole questo patrimonio, in modo che sia messo a disposizione delle prossime generazioni, come ben sapevano i membri delle vecchie comunanze agrarie, aderenti ai principi per cui erano nate. La consapevolezza che gli abitanti di queste terre di mezzo tra Tirreno e Adriatico possono acquisire rappresenta solo un inizio. È la prima tappa di un percorso molto lungo e complesso destinato a restituire a tutti un nuovo rapporto con la società e con una natura il cui patrimonio si può rendere disponibile solo mediante la sua salvaguardia.

Come spesso accade nella storia, un nuovo inizio si può individuare solo partendo dai territori più disagiati e fragili e dalle comunità più povere e spesso dimenticate. Non servono grandi ed inutili proclami sulla transizione energetica. È dal basso e dai margini, da ogni forma di marginalità, che si possono trovare nuovi modi per attribuire un significato inedito alla parola centro. Un centro dove si possa respirare liberamente, dove si possa vivere liberamente, dove anche la natura possa tornare a far sentire il suo profondo soffio, l’unico ancora capace di rapire ogni uomo, aprendo delle prospettive e degli orizzonti mai visti o forse molto più semplicemente dimenticati o volutamente messi da parte. È in questa direzione che l’Appennino si può trasformare in un laboratorio di socialità, di comunità, di vita, di voglia di respirare ancora.

Il mondo è pieno di tanti luoghi come l’Appennino dell’Italia centrale, di tanti territori autentici, originali, integri, non solo in riferimento all’ambiente, ma anche alle persone. È da questi tanti spazi dispersi in ogni angolo del nostro pianeta che si può iniziare un nuovo e più consapevole cammino verso il futuro. Sicuramente un buon cammino.


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IT.A.CÀ Parco Nazionale Monti Sibillini
10/13 giugno 2021 – Ussita, Fiastra, Arquata del Tronto
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Photo by Giulio Del Prete on Unsplash

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